IDENTITA'
IN CUCINA
Vi
è la cucina del territorio, la cucina del paesaggio,
del clima, della campagna, del paese, della famiglia e casato,
della storia minore dell'area geografica in senso più
lato e della gente; la cucina del ricordo e la cucina dell'amoroso
studio sperimentale più domestico che professionale,
che fa parte della prima ma la fa progredire; la cucina
del rigore e quella dell'apoteosi ghiotta per la grande
occasione; la cucina caleidoscopica dei grandi crocevia
etnici e storici.
Vi
è la cucina del turismo, che scopre ora di dovere
e voler essere polo di cultura, cioè di gusto, di
identità del territorio, di presentazione delle materie
prime dell'agricoltura e dell'artigianato.
Vi
è la cucina vista da fuori e quella vista di dentro,
quella fatta in tavola e quella tutta da fare in dispensa,
la cucina vista col teleobiettivo e quella vista col grandangolo.
C'è
la cucina patriarcale, che non deve costringere in un impossibile
mito statico e conservatore.
Non
c'è invece una cucina dell'invenzione o creazione,
perchè ogni lavoro lo è senza proclamarlo,
e quando è troppo proclamato sa di pretesto e scappatoia.
E non c¹è una cucina della salute, perchè
tutta lo è; ma se è solo una ottusa prassi
motivata da una distorta illusione o suggestione di perfezione
fisica ed estetica e di moda, va contro la felicità
e il benessere.
La
nostra è la cultura del gusto, del paesaggio, della
tipicità, delle diversità, del territorio,
insomma la cultura di una civiltà non minore anche
se spesso non adeguatamente considerata negli ambiti in
cui si formano le politiche e le strategie.
La
trasformazione della società, la sua riforma radicale
hanno bisogno anche di una maggior acquisizione della nostra
cultura, che in fondo è la premessa per una miglior
qualità della vita.
|