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DALLE TERRE DELL'ALCAMO DOC A QUELLE DEL CELEBRE MARSALA

Terre, uomini e vino. Una realtà che in Sicilia si carica di particolare suggestione e intorno alla quale l'Istituto della Vite e del Vino ha costruito sette itinerari. Sono le Strade del Vino, una proposta turistica lungo percorsi animati da cantine aperte al pubblico, aziende agricole, musei contadini, strutture ricettive, trattorie tipiche, il tutto finalizzato alla conoscenza e alla produzione dei prodotti locali, ma anche dei valori ambientali e culturali del territorio.
Altrove (e mi riferisco alla Toscana) iniziative del genere risalgono al 96, favorite anche dal fatto che la materia è da sempre di competenza regionale. Ma questo ugualmente non assolve l'Italia che, leader per produzione di vino e giacimenti culturali, arriva con oltre quarant'anni di ritardo rispetto alla Francia, dove in Borgogna la presenza di una apposita segnaletica, di un ricco materiale informativo in varie lingue e di guide specializzate hanno da tempo decretato il pieno successo dell'iniziativa.
In Sicilia, il complesso sistema vitivinicolo ha purtroppo allungato i tempi, anche se oggi i sette itinerari si ritrovano con le carte in regola per esercitare il loro straordinario richiamo, sostenuto anche dalla bellezza dell'ambiente e dal ricco patrimonio d'arte.
L'autunno mi è parsa la stagione più felice per la scoperta di questi sette itinerari, anche per la gioiosa atmosfera della vendemmia che in Sicilia riesce ancora a ritrovare il profumo di un tempo. I veloci fotogrammi del paesaggio che mi accompagna da Punta Raisi verso Palermo e Trapani non sono estranei alla nuova viticoltura. La teoria dei tendoni che soffocavano la terra sotto il peso di vigneti troppo generosi ha lasciato il posto alla coltivazione a spalliera, e questo al di là dell'indiscusso beneficio per le viti ha contribuito a conferire una nuova immagine al paesaggio, più vicina all'andamento appena irrequieto del terreno.
Il mio primo itinerario è all'insegna dell'Alcamo Doc - bianco, fresco, lievemente acidulo, di moderata gradazione - ma anche di ottimi vini rossi. L'Alcamo viene infatti prodotto in vari tipi: rosato, spumante e bianco classico; rosso, anche nei tipi riserva e novello. Il Disciplinare prevede anche l'indicazione del vitigno d'origine, ma in questo caso l'85 per cento dell'uva deve appartenere al vitigno omonimo. Trapani fornisce il 70 per cento della produzione totale, facendo così dell'Alcamo la seconda Doc della Sicilia dopo il Marsala. La base ampelografica, dopo le modifiche del Disciplinare del 99, é stata estesa alle uve rosse, prima fra tutte quelle del Nero d'Avola, favorendo così la crescente richiesta del mercato sempre più orientato verso i vini rossi.
La tentazione di fare del turismo puro cresce intanto a ogni chilometro. La fortezza araba a Castellammare del Golfo; la tonnara e il Castello di Baida a Scopello, nella Riserva naturale dello Zingaro; il tempio dorico e il teatro greco a Segesta, e infine Alcamo con la stratificazione delle sue antiche civiltà e Calatafimi con i suoi trascorsi arabi. Ma il mio filo di Arianna è il vino, e in questo itinerario sono previste tre soste: a Virzì (a pochi chilometri da Alcamo) per una visita alla Cantina sperimentale dell'Istituto della Vite e del Vino: un gioiello dotato delle più avanzate strutture tecniche, gestite con esemplare rigore. Qui è possibile degustare una gamma imprevedibile di vini, e seguire dall'analisi alla vinificazione ben sessanta varietà di viti sparse nei campi sperimentali di tutta la Sicilia.
Ed eccoci a Camporeale, feudo consacrato del Rapitalà. Il nome é la corruzione araba di Rabidh Allah, fiume di Allah, che dall'alto della collina attraversa gli oltre cento ettari della tenuta. Il terreno si inerpica tra profumo di finocchio selvatico (quello insostituibile nella pasta con le sarde) e voli di falchi, mentre all'orizzonte si delinea il profilo del Belice. Il terremoto aveva danneggiato pesantemente le strutture dell'azienda, ma il conte Hugues de la Gatinais, un bretone da sempre innamorato della Sicilia sino a prendervi moglie, riparte alla grande. E non solo ricostruisce, ma affianca ai vecchi vitigni come il glorioso Catarratto (che qui assume un particolare sentore di affumicato e una sua salinità) lo Chardonnay e il Pinot nero. I vini che nascono da questi uvaggi, come il Nuhar (Nero d'Avola e Pinot nero) e il Casalj (Catarratto e Chardonnay) hanno dato un forte rilancio all'azienda e aperto nuovi mercati, grazie anche al suo ingresso nel Gruppo Italiano Vini.
E ancora nozze felici fra vitigni originari e uve alloctone, quelle realizzate dall'azienda Ceuso di Alcamo, che produce il solo vino omonimo. Ceuso è in dialetto il frutto del gelso, e un tempo erano proprio i riferimenti alle varie colture a dare la denominazione catastale ai terreni. I fratelli Malìa, Giuseppe enologo e Vincenzo agronomo, hanno dato vita nel 90 più che a una impresa familiare a un sogno: quello di fare vino alla maniera antica, con uve allevate a controspalliera in una vigna inclinata, ma non ripida, chiamata localmente Custera.
Il Ceuso nasce dal 50 per cento di Nero d'Avola, che dà robustezza e tipicità, dal 30 di Cabernet Sauvignon per la tannicità e dal 20 di Merlot per la morbidezza. La maturazione avviene per un anno in barrique, quattro mesi in cemento e sei in bottiglia, a temperatura costante in cantina di 16 gradi.
Per il secondo itinerario, quello del Marsala e del Moscato di Pantelleria, mi aspetta anche il tratto di mare che divide l'isola dalle coste occidentali della Sicilia. Ancora una volta i richiami della cultura e dell'arte mettono a dura prova i miei impegni. Il Museo del Corallo a Trapani; i vecchi mulini che qua e là animano il singolare spettacolo delle vasche di sale; la Chiesa del Collegio e la Cattedrale. Ma mi attende Marsala, la città sul Capo Lilibeo, anch'essa ricca di tentazioni, dalla Laguna dello Stagnone, sede primaria delle Saline; al Museo degli Arazzi e a quello Archeologico; fino alle Cantine Florio, con la loro straordinaria e preziosa enoteca. Il vino qui è una presenza coinvolgente, e non tanto per i suoi risvolti economici quanto per la storia che lo accompagna, certamente la più suggestiva dellšenologia italiana.
Il percorso inizia dal cuore normanno di Erice per allungarsi a Trapani, Marsala, Salemi (dall'arabo Salem, ovvero luogo di delizie) e Gibellina, che dopo il terremoto si é riproposta come centro d'arte contemporanea, fra chiese postmoderne e laboratori di sculture. Trapani è la capitale viticola d'Italia, con il 41 per cento della superficie vitata dell'intera Sicilia, di cui i Catarratti rappresentano almeno l'85 per cento. Due le Doc per eccellenza, il Marsala e il Bianco d'Alcamo, e due le mie soste in quest'area altrettanto eccellenti e cariche di storia: la Florio e la Rallo.
La prima si leva di fronte al mare che guarda le Egadi, in un contesto di vegetazione tropicale impreziosita dall'antico baglio. Fondata nel 1833, produce innanzitutto Marsala, che é uno dei vini italiani più famosi del mondo, nato dall'intuizione del mercante inglese Woodhouse sessant'anni prima. Il Marsala viene prodotto in vari tipi: Fine, Superiore, Superiore Riserva, Vergine e/o Soleras, rispettivamente con un invecchiamento di uno, due, quattro e cinque anni. Per il Vergine e/o Soleras Stravecchio e Riserva è richiesto un invecchiamento di dieci anni. In base poi al contenuto zuccherino, il Marsala si suddivide in Secco, Semisecco e Dolce.

di Nino D'Antonio