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LE ORIGINI DEL VITIGNO IN COSTA D'AMALFI

La vite ha radici antiche in Costa d'Amalfi, forse riconducibili alla Roma imperiale, o ad epoca ancora più remota. La mancanza di terreni disponibili suggeriva lšimpianto su sostegni vivi (di solito mandorli, noci o nespoli), sicché l'uva cresceva e maturava insieme ad altri frutti, in una sorta di vigneto-frutteto.
Già allora, comunque, era ben chiara la distinzione tra uve da tavola e uve da vino, nonché la superiorità di queste ultime, alle quali non a caso erano destinate le viti migliori. Poi, nel Medioevo, a partire dall'XI secolo, la vite conquista una propria individualitā, affrancandosi dagli alberi da frutto. Ancora una volta la scarsità di terreno, la natura rocciosa del territorio e la sua estensione per lo più in altezza, portano presto a preferire la coltivazione su pergolato. Vale a dire una sorta di griglia, costituita da un incrocio di pali, intorno ai quali, a due metri dal suolo, trovano spazio i germogli. Una soluzione estremamente pratica e vantaggiosa, in quanto il pergolato consente di utilizzare il terreno sottostante per altre colture, tra quelle più diffuse in zona. Così il fabbisogno delle famiglie contadine veniva in buona parte soddisfatto dai prodotti dell'orto, ottenuti all'ombra del pergolato.
Al IX secolo risalirebbe anche una prima disciplina della viticultura, che regolava le varie fasi del lavoro nei campi, dalla potatura a regola d'arte alla cura del pergolato da zappare due volte l'anno. E accanto a questa raccolta di prescrizioni, nascono sempre più numerosi i contratti ad pastinandum fra gli aristocratici amalfitani (o gli enti ecclesiastici) e i coloni locali.
Tali contratti prevedevano una serie di obblighi da parte dei coloni, che erano gli stessi sia che a beneficiarne fosse la chiesa o i nobili. La diversa identità dell'altro contraente aveva invece rilevanza in tema di diritti. Perché i coloni, se si trattava di un monastero, ricevevano in cambio del loro lavoro la metà del raccolto, che si riduceva invece ad un terzo nel caso si trattasse di nobili signori.
Nel Medioevo la vite costituisce una fonte di ricchezza cui nessuno è disposto a rinunciare: chi non possiede neppure un fazzoletto di terra, coltiva sul lastrico solare della casa, l'astracum, o se riesce a procurarsi l'ambito permesso, ricopre di terreno e poi di vigneti qualche tratto del greto fluviale. Un ulteriore conferma dellšimportanza della vite in quell'epoca, ci viene dagli invasori longobardi, i quali per avere la meglio sulle popolazioni locali non esitavano a distruggere i vigneti. Un esempio che sarà ripreso poi anche da Carlo d'Angiò, il quale brucerà le campagne per indurre gli amalfitani a imbarcarsi sulle sue navi.
Mille anni fa la vendemmia si svolgeva in modo non molto diverso da oggi: i grappoli, una volta lavati, venivano pigiati con un torchio di legno, il palmentum, collegato ad una vasca in legno o muratura, il lavellum, verso il quale confluiva il mosto. Quest'ultimo veniva conservato in botti di quercia e in barili, che trovavano posto in un terraneo fresco e ventilato, il buctarium o cellarium.
Non mancavano nella coltivazione della vite le uve da tavola, come la Marzolla, l'Uva Rosa, la Moscadellone, l'Uva Fragola e altre, ma la specialità tipica della Costa d'Amalfi era l'Uva Passa: acini seccati e avvolti in foglie di limone. Quelli, insomma, che ancora oggi si chiamano Follovielli, dal latino folium volvere.
Addirittura maggiore - e non è il caso di sorprendersi - è la gamma di uve da vino: hanno spesso nomi coloriti e suggestivi, come la Bianca Zita, la Canajuola, la Mannavacca, il Piede Palumbo, e talvolta sono legate a un territorio piuttosto circoscritto, come nel caso della Mangiaguerra di Tra-monti o della Tronte di Furore.
La Costiera offre così una scelta di vini abbastanza pregiata, e adatta ai vari gusti e alle varie circostanze: dal vino derivato da viti latine a quello "greco" addizionato con miele e spezie, e ancora a un'ottima Vernaccia prodotta a Minori.
Gli anni della conquista araba e del conseguente ostracismo religioso nei confronti del vino alimentano solo un florido contrabbando. Le sorti del vigneto in Costiera restano saldamente legate ai caratteri del territorio e soprattutto alle sue felici condizioni climatiche. Ne è prova la millenaria continuità di queste viti fino ai giorni nostri e la loro consacrazione attraverso la Doc del '94 ai vini di Furore, Ravello e Tramonti.

Dario Cristiano